Storie di Carta

Cinque brevi storie dal municipio

Storie di Carta Cover

Introduzione

ghirigoro di separazione

La sala d'attesa del Municipio si trova al primo piano di una vecchia palazzina degli anni Sessanta, un tempo destinata agli uffici postali. Una stanza oblunga, con le pareti riverniciate di bianco e quattro grosse colonne centrali.

Storie di Carta CoverÈ una giornata calda, il sole striscia attraverso le inferriate disegnando linee di luce lungo il pavimento. Nella stanza ci sono una cinquantina di persone. Donne, uomini, persino bambini. Quelli che sono arrivati prima siedono davanti agli sportelli, con le cartelline sulle ginocchia, gli altri aspettano in piedi, gli occhi fissi sul tabellone luminoso, impazienti di veder comparire il numero impresso sullo scontrino.

Un uomo tira fuori il telefono per guardare l’ora, apre la pagina delle notizie, sbuffa. Da lontano arriva il grido di un neonato, qualcuno alza lo sguardo per capire da dove provenga, e intanto sul tabellone i numeri avanzano, e insieme a ogni numero una storia. Storie di donne, uomini, persino bambini. Storie che hanno attraversato lo spazio disegnando rotte invisibili, e che soltanto per caso adesso si ritrovano qui, nella sala d’attesa del Municipio, in mezzo al chiacchiericcio soffuso e alle risate dei bambini che si rincorrono tra le colonne.

Lorenzo illustrazione - acuisizione cittadinanza room e sinti

Lorenzo

ghirigoro di separazione

Lorenzo è arrivato presto, per evitare la fila. Adesso siede su una delle sedie della sala d'attesa ripassando mentalmente quello che dovrà chiedere all'assistente sociale. Lo scontrino che tiene in mano dice G13. Lorenzo ha diciott'anni, è nato ed  ha sempre vissuto a Roma. Sua madre è rumena, suo padre serbo. Quando è nato, nel 1999, nessuno ha pensato di iscriverlo all'anagrafe. Così adesso per avere la cittadinanza italiana deve dimostrare di aver vissuto sempre in Italia. L'assistente sociale che lo segue lo sta aiutando a preparare i certificati che servono. Lorenzo è nervoso, tiene gli occhi fissi sul tabellone, ha paura che qualcosa possa andare storto, G04, c'è ancora da aspettare, la stanza continua a riempirsi, accanto a lui sono venuti a sedersi un uomo e una ragazzina sulla sedia a rotelle. Lorenzo li guarda, per un momento i loro sguardi si incrociano, l'uomo e la ragazzina sorridono.

Ionut illustrazione - diritto di soggiorno rom e sinti

Ionut

ghirigoro di separazione

Ionut guarda verso il tabellone rigirando tra le mani lo scontrino col numero. È un uomo di mezza età, ma la faccia stanca e le occhiaie lo fanno sembrare più vecchio. Ionut vive nel quartiere da molti anni insieme alla moglie e alla figlia. Quando è arrivato in Italia, nel '92, era solo e spaventato. Scappava dal suo paese natale, in Montenegro, per aver disertato la leva obbligatoria. All'inizio non fu facile ricostruirsi una vita: Ionut non aveva soldi né lavoro, e sua moglie era lontana. Poi un connazionale gli disse che una ditta cercava operai, così trovò lavoro come muratore. Cominciò a mettere da parte dei soldi e a spedirne una parte alla moglie. Dopo diversi mesi gli fu concesso un permesso di soggiorno per lavoro, e allora anche sua moglie poté trasferirsi a Roma. Per qualche anno le cose andarono bene, Ionut continuava a lavorare come muratore, i soldi non erano tanti, ma non avevano problemi con i permessi di soggiorno. Poi nel 2004 Ionut e sua moglie ebbero una figlia, Sorina. Da quel momento le cose iniziarono a mettersi male: il lavoro scarseggiava, Ionut andava al cantiere soltanto quando veniva chiamato, i soldi non bastavano più. Cominciò a fare altri lavori, perlopiù saltuari, e per qualche tempo riuscì a tirare avanti. Poi l'anno seguente gli venne negato il rinnovo del permesso di soggiorno, e quasi contemporaneamente sua figlia Sorina si ammalò. I medici dissero che era affetta da una malattia rara piuttosto grave, e che da quel momento avrebbe avuto bisogno di cure costanti.

Ionut era spaventato, non sapeva cosa fare, poi un giorno un amico gli consigliò di rivolgersi al municipio per ottenere informazioni, e lì Ionut incontrò per la prima volta un assistente sociale, e scoprì che era possibile richiedere un permesso al Tribunale dei Minori per poter restare in Italia e continuare a far curare Sorina. Da quando ha ottenuto il permesso Ionut è più tranquillo, ha ripreso a cercare lavoro e può occuparsi della sua Sorina, che adesso siede davanti a lui sulla sedia a rotelle, sfogliando un opuscolo raccolto da terra.

Sorina illustrazione - rom sinti vademecum

Sorina

ghirigoro di separazione

Sorina alza lo sguardo verso il tabellone luminoso, l'opuscolo che tiene sulle gambe scivola a terra. Ci sono ancora ventitré persone prima che arrivi il loro turno. G06. A Sorina piacciono i numeri, crede che abbiano qualcosa di speciale, come le lettere di un alfabeto magico. E le piace molto andare a scuola, anche se non è stato facile per lei. All’inizio dell’anno la sua domanda alla scuola superiore è stata rifiutata perché non aveva documenti, poi l’assistente sociale le ha spiegato che in Italia tutti i minori hanno diritto all'istruzione, a prescindere dal permesso di soggiorno, e così hanno scritto una lettera al preside per ricordargli che lei aveva diritto di andare a scuola, e alla fine la sua domanda è stata accettata.

“Ti è caduto questo”. Di colpo Sorina distoglie lo sguardo dal tabellone. Il ragazzo alto e magro che siede accanto a suo padre le porge l'opuscolo che ha appena raccolto da terra. “Grazie”, dice Sorina, “mi ero distratta”. “È normale”, dice il ragazzo, “è la noia”.

Senad illustrazione - riconoscimento apolidia rom e sinti

Senad

ghirigoro di separazione

“Tu perché sei qui?”, domanda Sorina al ragazzo. Ionut si volta improvvisamente a guardare sua figlia, scandisce il suo nome come per riportarla all’ordine, “Sorina!”.

“Ma no, non c’è problema, non mi dà fastidio, tanto qua ognuno c’ha la sua storia”, dice il ragazzo.

Ionut annuisce, gli tende la mano, “Piacere, Senad”, dice il ragazzo.

“Di dove sei, Senad?”, domanda Sorina.

“Bella domanda!”, esclama Senad. Tutti ridono. Tutti, tranne la donna silenziosa seduta accanto a Lorenzo.

“Sono nato a Sarajevo, i miei genitori erano cittadini jugoslavi, poi quando io ero piccolo ci siamo trasferiti in Italia, e dopo che la Jugoslavia si è divisa, mio padre è diventato cittadino croato e mia madre cittadina bosniaca. Io sono cresciuto in Italia, ma nessuno mi ha mai iscritto all’anagrafe, così a un certo punto ho scoperto di non avere nessuna cittadinanza”, dice Senad.

“E come hai risolto?”, chiede Lorenzo.

“Mi hanno detto che potevo fare domanda di apolidia, nel frattempo ho trovato lavoro, e una volta fatte le pratiche mi hanno dato il permesso”, risponde Senad, “e adesso sono qua per chiedere all’assistente sociale come fare per sposare una donna italiana”.

“Ti stai per sposare!”, grida Sorina. Suo padre la guarda, come per ammonirla, ma poi scoppiano a ridere, tutti insieme, e anche la donna accanto a Ionut adesso sorride un poco, mentre pensa che forse, in fondo, anche la sua storia non è altro che una storia, brutta come ce ne sono tante, ma non senza possibilità.

Jelena illustrazione - diritto di soggiorno donne sfruttate rom e sinti

Jelena

ghirigoro di separazione

La donna guarda lo scontrino accartocciato nel palmo della mano, G 09.

“A che numero siamo?”, chiede Lorenzo.

“Tocca a me”, dice la donna. Sorina e gli altri si voltano a guardarla.

“Problemi con i documenti?”, chiede Senad.

“Non ho mai avuto documenti anche se vivo qui da tanti anni”, risponde la donna.

“Un po’ come tutti”, sorride Senad.

“Come ti chiami?”, chiede Sorina.

“Jelena”.

Jelena ha occhi grandi e scuri, e una cicatrice lungo lo zigomo. Fino a qualche anno fa si prostituiva, adesso vive in una baraccopoli e subisce violenze domestiche quotidiane.

“Vedrai che gli assistenti sociali ti aiuteranno con i documenti”, la incoraggia Sorina.

Jelena si volta a guardare il tabellone con i numeri. Tra poco sarà il suo turno, e non saprà che cosa dire. Potrebbe chiedere un permesso di soggiorno per casi speciali, come le hanno consigliato gli assistenti sociali e le operatrici del centro antiviolenza, ma ha paura. Ha paura di denunciare le violenze e di perdere l’unico rifugio che ha. Ha paura di quello che potrebbe succedere, ha paura di morire.

“Alla fine certe cose si risolvono sempre”, dice Sorina. “Serve solo tanto coraggio”. Jelena solleva la testa per guardare la ragazza, vede le sue gambe magre immobili sulla sedia a rotelle, il suo sorriso vivo, senza terrore, per un momento i loro occhi si sfiorano, “Forse lo posso fare”, pensa Jelena, “lo posso fare”. G 09.