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Aggiornato al: 15/02/2019
La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 afferma che ciascun individuo ha diritto ad avere almeno una cittadinanza e non ne può essere privato arbitrariamente(92). Il Patto sui diritti civili e politici del 1966, poi, prevede che ogni fanciullo abbia diritto ad acquistare almeno una cittadinanza(93). Lo status di cittadino è un diritto inalienabile di ciascun essere umano ed è fondamentale per poter esercitare libertà e diritti.
Chi non ha alcuna cittadinanza viene definito apolide ed è uno status che riguarda circa dieci milioni di persone nel mondo(94). L’apolidia è infatti la condizione in cui si trova una persona che “nessuno Stato considera come sua cittadina per l’applicazione della propria legislazione”(95). Questa condizione personale presuppone l’assenza di un elemento fondamentale nel diritto internazionale: il collegamento o la protezione tra un determinato soggetto e un determinato paese. I principali strumenti del diritto internazionale sulla tutela delle persone apolidi sono la Convenzione relativa allo statuto delle persone apolidi del 1954, ratificata in Italia nel 1962, e la Convenzione sulla riduzione dell’apolidia del 1961, ratificata in Italia nel 2015.
La prima definisce status e diritti degli apolidi. La seconda indica quali siano gli strumenti idonei al contrasto e alla riduzione dell’apolidia.
SCHEMA 7 - TIPI DI APOLIDIA
L’apolidia può essere di due tipi:
SCHEMA 8 - APOLIDIA: CATEGORIE
L’apolidia può essere ulteriormente suddivisa in altre due categorie.
L’apolidia può dunque sorgere in qualsiasi momento della vita di un individuo, e necessita di un accertamento effettivo di tipo negativo: occorre dimostrare di non possedere o di non poter possedere nessuna cittadinanza. Si stima che in Italia circa quindicimila rom e sinti, tra cui molti giovani, siano a rischio apolidia(96). Questa condizione colpisce principalmente le persone giunte nel nostro paese dell’ex Jugoslavia tra gli anni ‘60 e ‘70 e i profughi dei Balcani costretti alla fuga dai conflitti degli anni ‘90. Gli Stati nati dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia in alcuni casi non hanno riconosciuto i rom e i sinti come loro cittadini per diversi motivi: distruzione degli uffici anagrafici di registrazione, nascita in uno Stato e residenza in un altro prima del trasferimento in Italia, cambio di maggioranza etnica nel precedente luogo di residenza successivamente alla risoluzione del conflitto, mancata ottemperanza al servizio militare, scelta politica del nuovo Governo etc.(97).
Questa condizione si è poi trasmessa alle nuove generazioni in Italia: persone residenti in Italia o bambini nati e cresciuti qui senza mai aver avuto un documento, cittadini jugoslavi con regolare documento non convertito in seguito alla dissoluzione dello Stato, familiari o parenti di cittadini italiani che non riescono a sanare la propria posizione in quanto privi di documento di identità, cittadini registrati all’anagrafe italiana con nomi diversi e quindi impossibilitati a ritirare la relativa documentazione(98).
La procedura per il riconoscimento dello status di apolide è lunga e complessa. Inoltre, nel corso degli anni la popolazione rom e sinti non ha ricevuto adeguate informazioni sull’opportunità di regolarizzare la propria posizione sul territorio nazionale.
In Italia sono previste due procedure di accertamento dell’apolidia: una amministrativa e una giudiziaria, a seconda che l’istante sia in possesso o meno di alcuni requisiti.
La legislazione in materia di acquisto della cittadinanza da prendere in considerazione deve essere solo quella del paese, o dei paesi, con cui il richiedente abbia un legame significativo (ad esempio: nascita, discendenza, matrimonio o residenza abituale)(99).
Nella determinazione dello status di apolide, il richiedente beneficia dell’onere della prova attenuato: l’autorità italiana competente deve infatti cooperare nell’acquisizione della documentazione disponibile, tenendo in considerazione la difficoltà di produrre prove documentali sufficienti(100). Secondo l’UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, lo status di apolide può essere certificato da diversi tipi di prove. Sono da preferire quelle ufficiali delle amministrazioni straniere o di soggetti esperti in materia.
BOX 5 - Le prove dell’apolidia(101)
Tra questi diversi tipi di prove vi sono:
Le dichiarazioni rilasciate dai Consolati, infatti, sono estremamente rilevanti. Tuttavia, non sempre gli uffici consegnano un documento in cui sia chiaramente scritto che la persona non è cittadino di quel determinato Stato. A volte le dichiarazioni delle rappresentanze consolari riportano formule più generiche, come: “il richiedente non risulta iscritto alle liste della popolazione come cittadino”(102). In questi casi, la domanda deve essere supportata dall’analisi della legislazione in materia di cittadinanza di ogni Stato di collegamento, che possa dimostrare che il richiedente non ha i requisiti per la normale procedura amministrativa di acquisizione della cittadinanza.
La valutazione delle prove non dovrebbe richiedere un accertamento oggettivo e rigoroso. Sarebbe invece opportuno raggiungere uno standard ragionevole, considerando ogni singolo caso nella sua specificità e le relative difficoltà della valutazione. Per questo motivo il valore delle testimonianze scritte e orali del richiedente può assumere un peso differente, a seconda della validità delle prove documentali.
A chi è riconosciuto lo status di apolide è rilasciato un permesso di soggiorno di cinque anni e ha diritto a un titolo di viaggio (Annex 19).
Dopo cinque anni di residenza legale e continuativa in Italia, l’apolide può fare richiesta di cittadinanza(103).
È previsto anche il rilascio di un permesso di soggiorno per “attesa apolidia” a favore di chi sia già titolare di un permesso di soggiorno. Tale permesso ha una durata pari a quella della procedura(104). Il documento va richiesto personalmente alla Questura - Ufficio immigrazione competente per il luogo di dimora (Annex 20).
La domanda deve essere presentata al Ministero dell’Interno o alla Questura - Ufficio immigrazione competente per il luogo di dimora o tramite raccomandata al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, e prevede solo il costo dell’eventuale spedizione postale. La durata complessiva del procedimento è di 350 giorni oppure di 895 nel caso in cui sia richiesto il parere della rappresentanza diplomatica o consolare o del Ministero degli affari esteri(105).
I documenti da presentare sono:
L’amministrazione può chiedere ulteriori documenti a seconda dei casi. Vista la tipologia di documentazione richiesta, questa procedura sembra essere rivolta soprattutto ai destinatari di apolidia derivata o alle persone comunque presenti regolarmente sul territorio. Contro un eventuale rifiuto al riconoscimento è possibile presentare ricorso presso le sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE del Tribunale del luogo in cui ha sede la Corte d’appello ove dimora il richiedente. È ammesso il ricorso al gratuito patrocinio se vi sono i requisiti(107).
Questa procedura non è disciplinata dalla legge, ma nel corso degli anni ha trovato l’avallo della giurisprudenza e a oggi è quella maggiormente utilizzata, poiché non richiede particolari requisiti né la presentazione di una prova documentale. Non è necessario aver intrapreso in precedenza la procedura amministrativa ma nel caso in cui essa sia stata intrapresa, la procedura giurisdizionale può anche costituire il secondo accertamento, successivo al rifiuto dell’amministrazione(108).
Trattandosi di un procedimento giurisdizionale, è indispensabile l’assistenza di un avvocato. Il richiedente dovrà pagare un contributo unificato di € 209,00(109) o, se in possesso dei requisiti, avvalersi del gratuito patrocinio a spese dello Stato(110). Il ricorso va presentato alle sezioni specializzate in materia di immigrazione presso il Tribunale ordinario competente per il luogo di dimora.
Per il rilascio del permesso di soggiorno per attesa apolidia si applicano le stesse disposizioni già enunciate. In ogni caso, il legale rappresentante può chiedere all’autorità giudiziaria di ordinare il rilascio del titolo di soggiorno nelle more del giudizio.
In caso di rigetto, è possibile presentare ricorso presso la Corte di appello competente anche avvalendosi del gratuito patrocinio a spese dello Stato.
(92) - Art. 15, Dichiarazione universale dei diritti umani.
(93) - Art. 24, c. 3, Patto sui diritti civili e politici.
(94) - United Nations High Commissioner for refugees (UNHCR), UNHCR Global trends 2017, 2018, pag. 51, disponibile su http://www.unhcr.org/5b27be547.pdf
(95) - Art. 1, Convenzione relativa allo statuto delle persone apolidi.
(96) - Senato della Repubblica - Commissione straordinaria per la promozione e la tutela dei diritti umani, Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e camminanti in Italia, 9/02/2011, pag. 23, disponibile su http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/dirittiumani16/Rapporto%20conclusivo%20indagine%20rom,%20sinti%20e%20caminanti.pdf
(97) - Senato della Repubblica - Commissione straordinaria per la promozione e la tutela dei diritti umani, Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e camminanti in Italia, 9/02/2011, pagg. 23 - 24, disponibile su http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/dirittiumani16/Rapporto%20conclusivo%20indagine%20rom,%20sinti%20e%20caminanti.pdf
(98) - Vedi nota 90.
(99) - UNHCR, Manuale per la protezione delle persone apolidi, 2014, disponibile su https://www.refworld.org/cgi-bin/texis/vtx/rwmain/opendocpdf.pdf?reldoc=y&docid=57b6bff14
(100) - UNHCR, Manuale per la protezione delle persone apolidi, 2014, disponibile su https://www.refworld.org/cgi-bin/texis/vtx/rwmain/opendocpdf.pdf?reldoc=y&docid=57b6bff14. Si veda inoltre Perin G., La tutela degli apolidi in Italia. Scheda pratica, 2017, disponibile su https://www.asgi. it/wp-content/uploads/2017/07/2017_scheda-apolidia.pdf
(101) - Vedi nota 100.
(102) - Vedi nota 100.
(103) - Art. 9, c. 1, lett e), L. 91/1992.
(104) - Art. 11, c. 1, lett. c), DPR 394/1999.
(105) - Tab. A, Decreto ministeriale (D.M.) - Ministero dell’Interno 142/2000.
(106) - Art. 17, DPR 572/1993.
(107) - https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_3_7_2.page
(108) - Art. 17, DPR 572/1993.
(109) - Art. 13, c. 3, lett. d), DPR 115/2002.
(110) - https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_3_7_2.page